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Personalità legate a Monteleone d'Orvieto

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Giovedì 04 Agosto 2011 16:56

Consiglio Dardalini da Monteleone (XIII secolo), mastro vetraio, musaicista della facciata del duomo di Orvieto;

Beato Angelo da Monteleone (XIII secolo) francescano: non è sicura la sua nascita a Monteleone d'Orvieto, di Spoleto o Sabino;

Filidio Lemmi (Monteleone fine '800) architetto, primo sindaco del comune e patriota.

Pietro Bilancini (Monteleone 1864-1895), critico letterario e poeta;

Attilio Parelli (Monteleone 1874-1944), direttore d'orchestra e compositore;

Pietro Momaroni (Monteleone 1895-1968), giornalista, storico e scrittore;

Alessandro Giovannini (fine '800), narratore delle cronache monteleonesi dell'epoca;

Don Giuseppe Vetralla, (morto nel 1949) il "cappellano di Monteleone", per 28 anni nella parrocchia, dal 1921 al 1931 è negli elenchi dei sovversivi per le sue letture, la sua libertà di pensiero e di azione; successivamente durante la guerra, nel 1943, è imprigionato e mandato al confino per le sue idee antifasciste; debilitato nel fisico morirà dopo poco tempo.

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Beato Angiolo da Monteleone

 

Beato Angiolo da Monteleone  è vissuto probabilmente nel XIV secolo.

Non si conoscono con certezza data di nascita e di morte, ma neanche la sua provenienza: Monteleone d'Orvieto, di Spoleto o Sabino. Secondo Giuseppe Bolletti Angiolo, religioso francescano, proviene proprio da Monteleone d'Orvieto.

Il Tossignano di lui scrive: "Pauperrimus et despectus homo obiit miraculis clarus apud Montem Compatrium in Campaniam".

Esistono del Beato due effigi: una a Monteleone d'Orvieto nella Collegiata SS. Pietro e Paolo posta all'interno della cripta di San Teodoro dipinta da Guglielmo Ascanio nei primi anni del novecento, l'altra antica a Città della Pieve nel muro nel Convento dei PP. Minori osservanti con l'iscrizione: «Beato Angelo da M.Leone. Il suo cordone si conserva in Fiesole, e si tiene in particolar devozione».

Nel 1830 il Bolletti ricorda:

« Tra gli illustri suoi conterranei vanta M.Leone il Beato Angiolo religioso francescano, già lettore in sacra teologia fra i PP.Conventuali, indi passato fra i Minori Osservanti allettato dalle virtù di Frate Paoluccio da Foligno, ed ambedue di poi impegnati a far rifiorire la religione nel suo primiero stato. Questo servo del Signore fu assiduo nell'Orazione, e contemplazione delle Cose Celesti, per cui fu fatto degno di singolari, e Celesti Visioni. In Firenze con il suo Compagno furono ambedue di esempio con le loro virtuose azioni, di sommo vantaggio con il Loro Evangelico Zelo, e di grande Edificazione a quella città. Fondò il Beato Angelo un Convento di Osservanza sulla Cima del Monte vicino a Fiesole per soddisfare alla devozione, e alle istanze di detta Città, e di Firenze istessa. Passò alla Celeste patria il dì 2 di dicembre 1399, nel Convento di San Processo vicino al Monte Comprate in Toscana. Nel martirologio Francescano sotto il dì 2 dicembre si legge: «Apud Montem Compatrium in Aetruria B. Angeli a M. Leone Confessoris, virtude patiente, et poenitentia insignis, qui miro Spiritus fervore Verbum Dei praedicans, atque Orationi, et Contemplationi instantius vacans, quamplurimis post obitum illustratus est miraculis» » (Giuseppe Bolletti, Notizie istoriche di Città della Pieve, 1830, Perugia)

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Pietro Bilancini

 

Pietro Bilancini (Monteleone d'Orvieto, 21 settembre 1864 ? Sassari, 22 marzo 1895) è stato un poeta e critico letterario italiano, precursore del crepuscolarismo.

È uno dei più giovani esponenti della ?Scuola del Metodo Storico?.

Discepolo di Alessandro d'Ancona, amico e collega di Adolfo Borgognoni, dopo conseguita a pieni voti la laurea in Belle Lettere alla Scuola Normale Superiore di Pisa, peregrina per tutta Italia come insegnante di Letteratura Classica.

La sua attività di pubblicista letterario inizia a L'Aquila, intorno al 1888 e prosegue fino alla morte, a soli 31 anni.

Collabora e scrive per alcuni periodici culturali del tempo: ?Letteratura Montanara?, ?Il Risveglio?,?Bollettino della Società di Storia Patria Lodovico Antinori?, ?La Rassegna Pugliese? etc?.

A questa sua attività di giornalista letterario accompagna la sua produzione critico letteraria attraverso la pubblicazione di libri e opuscoli: ?Primi Studi di Critica Letteraria?, ?Giovan Battista Giraldi e la tragedia Italiana del XVI secolo?, ?La Guerra di Braccio Contro L'Aquila nella Letteratura Abruzzese?, ?Svolgimento Storico del Romanzo nella Letteratura italiana?, ?Nel Regno dei Negligenti? etc?.

È anche traduttore dal greco e dal latino.

Pietro Bilancini è anche poeta. Due le sue raccolte in versi: ?Rime & Versi? pubblicata a L'Aquila nel 1890 e ?Ritmi Antichi?, pubblicata a Cosenza nel 1892. Seppur con echi tardo romantici e classicheggianti, così come vuole la moda Carducciana, il Bilancini sa anticipare i Crepuscolari, donando a certe sue poesie quel gusto per l'arrendevolezza alla malinconia, alle cose semplici, all'assuefazione disincantata del vivere che tanto amano, un decennio dopo, Guido Gozzano, Sergio Corazzino e Marino Moretti.

Bilancini muore a Sassari poco più che trentenne. Nella sua breve vita, sa essere traduttore, critico letterario di fama nazionale, poeta e professore di lettere.

Poesie e saggi critici

"Poesie e Saggi Critici" raccoglie tutte le poesie edite da Pietro Bilancini nelle raccolte "Rime & Versi (1890) e "Ritmi Antichi" (1892), una nota biografica e uno studio critico sulla sua poetica. La raccolta è curata dal prof Pasquale Tuscano, Roberto Cherubini e Nicolo' Paraciani.

Il Volume raccoglie l'intera opera poetica di Pietro Bilancini (Monteleone d'Orvieto 1864 - Sassari 1895) e un saggio dei suoi scritti critici. L'opera è pubblicata nel Maggio del 2004 e presentata al pubblico il 24 ottobre dello stesso anno.

Il libro include una biografica su Pietro Bilancini, uno studio sulla sua carriera di poeta e critico e una galleria fotografica con introduzione di Pasquale Tuscano, Ordinario di letteratura e Filosofia presso il dipartimento di italianistica dell'Università di Perugia.

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Attilio Parelli

 

Attilio Parelli, nome d'arte di Attilio Enrico Paparella (Monteleone d'Orvieto, 31 maggio 1874 ? ivi, 26 dicembre 1944), è stato un direttore d'orchestra e compositore italiano.

Studia dal 1891 al 1899 con Cesare de Sanctis alla Regia Accademia di Santa Cecilia a Roma.

Inizia subito la sua attività di direttore in Italia e a Parigi per trasferirsi poi nell'America del Nord. Ci sono foto e documenti che testimoniano questi suoi viaggi negli USA, paese scelto dal maestro per mettere alla prova il proprio talento, per ritornare in patria ricco di onori e gloria.

Si sposa con Isolina Rapalli, sua allieva, non avranno figli.

Dal 1906 collabora con Cleofonte Campanini (direttore d'orchestra, Parma, 1860 - Chicago, 1919) alla Manhattan Opera House e alla Grand Opera Company di Chicago.

Nel 1925 ritorna in Italia e diventa direttore artistico della neonata Unione Radiofonica Italiana (poi Eiar in seguito Rai) di Milano.

All'epoca i programmi radiofonici comprendevano frequenti concerti vocali e strumentali di musiche religiose, sinfoniche e cameristiche. Accanto alla musica seria di repertorio veniva dato largo spazio alle prime esecuzioni di canzoni napoletane e patriottiche. Il resto della musica proposta era in gran parte costituita dall'operetta. Sono di questo periodo le varie sigle di apertura dei programmi Rai scritte da Parelli per le sedi di Milano, Torino, Roma, Napoli. Il segnale d'apertura della sede Rai di Torino, un melodioso suono di arpa e campane che sembra ispirato a quelle del paese natale, è ancora eseguito su Rai Radio Due alle sette del mattino.

Attilio Parelli muore a Monteleone d'Orvieto il 26 dicembre 1944 e riposa nella parte monumentale del cimitero del suo paese natale.

Le opere ed il fondo Parelli

Il comune di Monteleone d'Orvieto possiede il nucleo più consistente del fondo Parelli.

Un pianoforte a coda, libri, dischi e spartiti sono invece di proprietà degli eredi, ma non rivestono grande importanza in quanto già presenti nel fondo a disposizione del comune.

Oltre ai libri ed agli spartiti, il museo di documentazione "A. Parelli" è ricco di foto dell'epoca che rappresentano sia ritratti del compositore che della sua famiglia. Un corpus consistente è inoltre costituito dalle foto di musicisti e cantanti con i quali Parelli aveva stretto rapporti personali e di lavoro: Lina Cavalieri, Luisa Tetrazzini, Carmen Melis, Amedeo Bassi, Carlo Zecchi, Pietro Mascagni. Le foto degli artisti, la maggior parte in costume di scena, sono spesso accompagnate da dediche che testimoniano la loro stima nei confronti del Maestro.

Nelle sue opere sono rappresentati tutti i generi: composizioni per orchestra, melodramma, balletto, musica sacra vocale, lirica per canto e pianoforte, musica da camera.

Sono stati ritrovati anche manoscritti dei segnali d'apertura (jingle radiofonici) dei programmi radio Rai.

Nelle sue opere pianistiche si intravvede chiaramente l'intento programmatico; lo appassionano inoltre le trascrizioni per orchestra e il poema sinfonico (genere nel quale trae ispirazione da fonti letterarie).

In altri casi emerge una vocazione alle forme classiche e puramente strumentali, come nei numerosi movimenti di quartetto, nella singolare scelta del titolo Tema con variazioni per una composizione vocale.

Parelli amava riproporre le sue composizioni per diversi organici: la Pifferata di Natale si trova nella versione orchestrale e in quella pianistica; Alba nascente per canto e pianoforte e per violino e pianoforte, Odorava l'april per canto e pianoforte e per un gruppo strumentale composto da quartetto d'archi più clarinetto e pianoforte.

Nel fondo vi sono, a stampa, anche musiche appartenute alla allieva e moglie Isolina Rapalli come metodi per canto e facili metodi per pianoforte; Vi sono anche spartiti musicali che erano allegati ai periodici dell'epoca, che testimoniano i gusti del pubblico in quel periodo: riduzioni di celebri arie d'opera, operette, valzer e polke viennesi.

La grafica di Parelli era molto accurata (si riconoscono i suoi manoscritti per la forma elegante della chiave di violino) e insieme ai 112 manoscritti autografi, nel museo Parelli si trova anche una piccola collezione di musiche a stampa, in parte dello stesso maestro, e in parte provenienti dalla sua biblioteca.

I suoi brani sono stati pubblicati da case editrici come Ricordi, Carish, Schirmer, Schmidl, Puccio, Bixio.

Durante la sua carriera musicale si firmerà con pseudonimi vari come Parelli o Maramocio.

Il suo nome è legato anche a quello dei soprani (Alice Zeppilli, Mari Cavan), tenori (John Mac Cormack) di fama mondiale, come anche a cantanti in voga in quel tempo, oggi in parte dimenticati.

Amico, collaboratore e suo librettista, fu Enrico Comitti, discreto poeta romano che Parelli incontrò nel periodo degli studi all'Accademia di Santa Cecilia.

I dispettosi amanti

La sua opera più importante è sicuramente I dispettosi amanti. Il Radiocorriere dell'epoca dedica la sua copertina a questa opera, messa in scena per la prima volta nel marzo 1912 al metropolitan Opera House di Filadelfia, città che vanta una antica tradizione operistica.

I personaggi de I dispettosi amanti sono quattro: due giovani cugini, Florindo e Rosaura, costretti a sposarsi dalle rispettive famiglie, ma che finiranno poi per innamorarsi veramente ed i due genitori donna Angelica, madre di Florindo, e Don Fulgenzio, padre di Rosaura.

Il tutto si basa sulla ambiguità tra ciò che appare e ciò che realmente è. Il testo è stato pubblicato da Sonzogno a Milano: una prima bozza del manoscritto si trova nel fondo Parelli, l'autore è Comitti.

Scritto in una lingua garbata e scorrevole, utilizza modi di dire spigliati che si addicono allo spirito comico-sentimentale dell'opera. L'atto unico è suddiviso in sette scene.

Nell'anno successivo, il 1913, I dispettosi amanti fu rappresentato anche a Chicago e a New York, con gli stessi interpreti della "prima": Alice Zeppilli (Montecarlo, 1885 - Pieve di Cento, 1969) nel ruolo di Rosaura, Amedeo Bassi (Firenze 1874 uno dei più apprezzati cantanti del repertorio verista) interpreta Florindo, la parte di Donna Angelica è affidata al mezzo soprano Louise Berat (unica cantante straniera) e quella di Don Fulgenzio al baritono Mario Sammarco.

Dal manoscritto si legge che l'opera è ambientata nel chiosco ottagonale del parco di una lussuosa villa ottocentesca: il parco esiste realmente vicino al Poggio Parelli, nello splendido scenario di Villa Marocchi.

 I dispettosi amanti è stata la prima opera lirica trasmessa integralmente dalla radio italiana. Venne mandata in onda la sera 6 Maggio 1926, dalla sede di Milano dell'EIAR.

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  Consiglio Dardalini ed il "Musaico"

 

Per volere dell'architetto Lorenzo Maitani, nella prima metà del XIV secolo, viene costruita nel contado del castello una fornace a servizio della "Fabbrica del Musaico" volta alla realizzazione della straordinaria facciata del Duomo di Orvieto:

« Altra fornace si cuoceva in Monteleone, castello del contado di Orvieto »

Mastro Consiglio Dardalini o Dardolino, applica l'oro e l'argento "sopra gli smalti preparati da Puccio di Lotto". Nel Duomo sono impegnati molti uomini di opifici ubicati in alcuni castelli del contado orvietano, ma

« il più industrioso fabbricatore fu certamente Dardolini »

e deve essere veramente valido poiché, pur licenziato dall'Opera del Duomo per aver partecipato ad una rapina in San Casciano, viene graziato, con sentenza del 22 febbraio 1328 dai Signori Sette supremi magistrati orvietani, su richiesta dello stesso Maitani e degli Uffiziali dell'Opera

« perché per la sua assenza, veniva danno all'Opera, non trovandosi chi potesse meglio di lui lavorare il musaico per la facciata. »

Infatti come ricorda Ludovico Luzi nel 1866, riportando per intero il

« Decreto del Comune di richiamare dal bando Consiglio di Monteleone perché continui a lavorare di mosaico nel Duomo (Archivio del comune. Riformanze ad annum). 1328, 22 febbraio.....(si omette il decreto)..... Consiglio fu assolto con 31 voti favorevoli » (Ludovico Luzi, "Il duomo di Orvieto descritto ed illustrato", Firenze tipografia dei successori Le Monnier via San Gallo n° 33, 1866 )

Dardalini viene ricordato anche dal Bolletti, che conferma indirettamente, tali vicissitudini giudiziarie, pur non facendone mai diretto riferimento:

« Ne voglio omettere di far menzione dell'insigne, ed impareggiabile Musaicista Mastro Consilio Dardalini, detto volgarmente Stopario di Monte Leone, il quale fu prescelto per capo, e direttore degli altri artefici fatti venire da Spoleto per costruire l'insigne Facciata del Duomo di Orvieto, una delle opere più meravigliose; di tanto ci assicura la Storia del Duomo di Orvieto dedicata alla Santità di Nostro Signore Pio Papa VI, stampata in Roma nel 1791, ed esistente nell'Archivio Segreto della Comunità di Orvieto, in cui alla pag. 103, rilevasi, che fu deputato, come si disse, Direttore della grand'opera, e che fece una fornace di vetri a colori diversi in Orvieto poco lungi dal Duomo medesimo, ed alla pagina 268, si legge la spesa occorsa per il suo mantenimento per due mesi, e per il ferro comprato per lavorare detti vetri; ma a più convalidare quanta fosse la perizia di sì valente Artefice, e quanto fosse necessaria la sua direzione, e presenza, basti leggere alla pag, 106, della surriferita Istoria, che venuti il celebre Vanni Senese, ed un tal Maestro Giovanni a dipingere i vetri per le finestre, ed a colorire quelli, che dovevano servire per la facciata del Duomo, nelle quali opere erano loro di ajuto Tino d'Asisi, Angioletto da Gubbio, Meuzzo Sanese, e Lello da Perugia, per proseguire l'opera , dovettero richiamare Maestro Consilio da Monte Leone esiliato da Orvieto in tempo del lavoro, non si sa per qual motivo, per essere uno dei più valenti Maestri, e per esser necessaria la sua presenza per dirigere, e condurre a felice termine l'opera, per cui gli furono spediti due uomini a richiamarlo, ed al di cui invito egli prontamente acconsenti, esibendosi ancora di fare il lavoro per il terzo meno della sua solita paga in devozione di Maria Santissima, come il tutto costa dalla suddetta Istoria . » (Giuseppe Bolletti Notizie istoriche di Città della Pieve 1830, Perugia)

Quindi "Stopario" viene "richiamato" dall'inspiegabile (almeno per il Bolletti) esilio ed al suo ritorno accetta anche di essere pagato un terzo in meno della sua normale parcella.

Viene anche confermata la sua abilità, infatti senza la sua opera "di capo e direttore degli altri artefici fatti venire da Spoleto" è difficile far avanzare quei lavori che hanno reso unica al mondo la facciata del Duomo di Orvieto ed i vari "Tino d'Asisi, Angioletto da Gubbio, Meuzzo Sanese, e Lello da Perugia", non sono in grado di sostituire validamente il Dardalini. La testimonianza del Bolletti è importante anche perché cita fonti autorevoli e controllabili da cui trae le notizie

L'artista viene ricordato anche da Gaetano Milanesi nel suo libro Documenti per la storia dell'arte senese nell'"Indice degli artisti nominati ne' documenti e nelle note"

« Consiglio da Monteleone, Maestro di vetri colorali. Lavora in Orvieto » (Documenti per la storia dell'arte senese raccolti ed illustrati da Gaetano Milanesi tomo III secolo XVI, Siena presso Onorato Porri 1856)

e sempre nello stesso libro, nella "Tavola dei luoghi e delle cose più notabili nominate ne' documenti e nelle note" dopo i "Capomaestri senesi'" il primo dei quali ovviamente è Lorenzo Maitani, vengono elencati gli altri "Artefici che vi lavorarono"; fra questi viene ricordato non solo

« Consiglio da Monteleone maestro di vetri »

ma anche

« Ghino da Monteleone maestro di vetri »

Quindi da Monteleone proviene più d'un "artefice" di un certo rilievo per la fabbrica del Duomo d'Orvieto; questo è confermato da una nota di F.G.D. del 1808, contenuta in una ristampa di un libro, del XVI secolo, di Giorgio Vasari, che così recita:

« A quel tempo non era più un segreto il lavorare di musaico. Oltre che pochi anni prima Giotto, Simone, ed altri ne avevano dato saggio in Roma e in altre città, la sola Orvieto aveva un drappello di Artefici di quello: essi con meccanismo non inferiore a quello poc'anzi ricordato dal nostro Scrittore, adorna vano con pompa magnifica l'ammirabile facciata di quel Duomo, di cui prima di Pasqua del corrente anno 1791. Pubblicheremo la storia arricchita di 38 rami di alcune delle molte opere che adornano quell'insigne Cattedrale con varie produzioni di pittura , scultura , architettura, e musaico. Daremo qui un indice de' principali musaicisti: Gervino, e Puccio di Leozio da Spoleto. Corso di Domenico Sanese. Consiglio con Ghino di Pietro e Cola di Pietrangelo da Monteleone. Andrea di S. Miniato. Lapo di Nuzzo e Ugolino da Firenze. Scaglione di Assisi. Andrea di Mino Sanese. Angioletto da Gubbio. Fr. Gio. Leonardelli Orvietano del Terz' Ordine di San Francesco. Bonini da Perugia. Angeluccio Landi con Andrea e Niccolo suoi figli. Nello Jacopini e Buccio Aldobrandini Romani. Costoro lavorarono ne' musaici della facciata Orvietana dal 1321. sino al 1345, e più ancora, finché vennero Andrea Cioni ed altri più celebri » (Nota di F.G.D. all'edizione del 1808 di Vite de' più eccellenti pittori scultori e architetti scritto da Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, Milano dalla Società Tipografica de' classici italiani, 1808)

Quindi, secondo tale testimonianza, fra il 1321 ed il 1345, provengono da Monteleone almeno tre fra i musaicisti principali che realizzano la facciata del Duomo di Orvieto: Consiglio Dardalini, Ghino di Pietro e Cola di Pietrangelo.[13]

Il tempo però distrugge anche le opere d'arte e non sempre i recuperi vengono fatti a regola d'arte, così Luzi nel 1866 racconta con preoccupazione la sorte di quella facciata di Maitani a cui da Monteleone da un così grande apporto:

« ...non troppo onorata menzione si può fare della maggior parte de' mosaici che al presente in quegli ampi vani della facciata si scorgono. Chè, deperiti gli antichi ch'eran di mano di Consiglio Dardolini da Monteleone, di Giovanni Bonini, del celebre Andrea Orcagna  d'UgoIino d'Ilario, di frate Giovanni Leonardelli, e di David del Ghirlandaio, furono essi interamente rifatti in varie epoche più o meno vicine a noi, con averne affatto obliterato il primilivo carattere, e con avere, in conseguenza , prodotto disarmonìa in ciò che voleva l'architettura dell'intiero edilizio, e specialmente della sua prospettiva... » (Ludovico Luzi, "Il duomo di Orvieto descritto ed illustrato", Firenze tipografia dei successori Le Monnier via San Gallo n° 33, 1866)

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